Usi e costumi del Cilento: I riti funebri

(Emilio La Greca - Amedeo La Greca - Antonio Di Rienzo)

1) IL GIOCO E LA REALTA'
Un gioco di tanto tempo fa: un bambino con la mano aperta, palmo rivolto in giù, cercava di afferrare l'indice della mano dei compagni; era il "Gioco della Morte" . Le parole pronunciate suonavano così:
" A la lampa, a la lampa,
chi mòre e chi campa.
A la Nacca, a la Nacca,
male a chi nci ancàppo!"(1)

Nel gioco bastava un po' di agilità per non cadere nelle grinfie della Morte.
La Signora vestita di nero, che dalla fantasia popolare era raffigurata con la falce in mano,mieteva impietosamente le sue vittime (2):

" Quanno la morte jìa camminanno.
Cu na ronga mmano jìa rongannno:
le scuntào nu giovane cu tanto valore:
Giovane mio cu mico ha rà venì!"
Lu giovane tristo e scunsulato:
"cara morte, làssame in pace!
Tengo ruie belle frati,
pigliatìnne a uno e lassa a mi.
Ancora tengo ruie belli figli,
pigliatìnne a uno e lassa a mi!"
La Morte rispose:
" nù boglio nì tu figli, nì tu frati,
a ti, ca a lu libbro mio stati".
Lu giovane risse:
"n'auta tòrre io me fazzo fari,
ra tanta 'uardie me fazzo 'uardare".
La Morte le responne:
"io me fecco pè sotto la lèsena ra porta,
te rào ncapo e te fazzo morto".
E accussì fune, ncapo a tre juorni
Lu giovane carètte malato:
jètte la Morte e s'assettào a lu lato".

Ai poveri mortali non restava altro che accettare la propria sorte e cercare di "essere pronti" quando arrivava la Signora "santa e justa": era necessario morire senza peccati mortali pe nù fà na mala morte.
Ed ogni sera, prima di addormentarsi, si doveva invocare la protezione dei Santi (3):

"A capu a lu liettu meu,
nci staje Signori Deu.
A lu latu nci staje la Nunziata.
A li pieri nci staje l'Angelu Gabriele.
A la porta nci staje la virgine Maria.
Aiutatimi st'anima mia,
finu a lu punta re la morti mia".

Infatti la fede in cristo aveva dato ai credenti la forza di accettare la Morte e di aspettare l'Eternità se non con gioia, almeno con rassegnazione: come possiamo notare strano modo di salutarsi al momento della partenza (4):

"se nun ci virimo cca,
nci virimo in Eternità".

Ciò nonostante restava nell'animo popolare il ricordo della credenza pagana, dei Mani che risuscitavano tre volte l'anno. Perciò carnevale, personificazione della festa omonima, nella fantasia contadina moriva e tornava a nascere (5):

"Carnavaru, picchè sì morto,
la nzalata l'avivi a l'uortu.
Carnavaru ha rà murì,
e l'anno chi vène tuorni a binì".

Secondo la credenza popolare, il giorno dei morti scendevano in bianco drappello le ombre dei defunti nelle case degli uomini, dove al ricordo di esse, si piangeva e si pregava: raccoglievano le lagrime e le preghiere per portarle a Dio. Peregrinavano sulla terra, sotto forma di farfalle (6), fino all'epifania, poi ritornavano in cielo. Perciò il detto popolare diceva: (7)

"Tutti li Pasche jèssero e benèssero,
ma Pasca e Befana nun benèsse mai"

Il periodo di sofferenza di queste anime, la loro permanenza nel Purgatorio, "fare 'u priatorio", poteva essere abbreviato dalle preghiere e dalle offerte dei congiunti in terra. Perciò si usava dare l'elemosina a quei pitocchi che chiedevano "per le anime ru Priatorio" e che poi andavano recitando casa per casa, accompagnati spesso da un fanciullo col paniere, il "Verbum Caro" (8).
Ma le preghiere e le lagrime per lo scomparso iniziavano già al momento del distacco e raggiungevano il massimo nelle grida e negli strepiti dei parenti e delle "prefiche". A lume di candela a olio, messe ai piedi del letto, i parenti, in una specie di nenia rituale, cantavano le gloria, le lodi al morto: dove si fondevano dolore per la scomparsa e imprecazione contro la Morte: (9)

"Ahi! Tata, tata mia, pecchè te ni si juto?
Tu jèri la colonna ra la casa".
(Coro) "O Peppenièllo, tu colonna re la casa!"
"Ahi! Morte, Morte crurèle,
la casa nostra tu hai ruinàto!"
(Coro) "O Peppenièllo, tu colonna re la casa!"

Una parente continuava a raccontare i fatti che meglio rispecchiavano la bontà d'animo dello scomparso ed i presenti facevano il coro.
Tutto il dolore era sincero, perché erano tutte persone colpite dal dolore che trovavano l'occasione per piangere i propri defunti.
Il paese intero si recava a fare "visita2 al morto, ognuno che arrivava chiedeva notizie sulla malattia perché nessuno credeva che potesse morire a chera età, accussì giovane, o che se mantenìa accissì buono (se era meno giovane); e poi che brav'òmo, ma 'u signore si piglia sempe i megli e lassa l'erva malamente, e poi noi mortali ha ma fà a vuluntà re Dio,perché a stu munno simo tutti passeggeri (10). Infine si lodava la bontà dello scomparso e le azioni buone che aveva ricevuto, mentre tutti i presenti intervenivano a confermare la veridicità delle affermazioni e incominciavano a parlare dei propri defunti, del figlio o del marito morti e poi tutti insieme a piangere e a lamentarsi.
La "Congrega" , se il defunto apparteneva ad una confraternita o se i parenti lo desideravano, andava a prendere per portare in chiesa il confratello, "cumbrato" . e ancora dolore tra i parenti ed il timore che il morto, durante il trasporto al cimitero, potesse cadere a terra: (11)

"Chiano, chiano pe sti scale,
nù facete carè a Tata,
O Tata, Tata mia,
te vulìa tène pè consiglio!"

Intanto la campana del villaggio, che aveva già annunciato la morte, avvertiva la popolazione che il defunto veniva portato in chiesa per avere l'estrema benedizione: due rintocchi brevi ed uno lungo se il morto era uomo; un rintocco breve e due lunghi se era una donna; se ai tre rintocchi seguiva la "sunàta a gloria" il morto era un fanciullo.
I parenti dello scomparso dovevano, in segno di dolore, portare il lutto. Il lutto era completo per la morte dei genitori, del marito e del fratello e doveva durare un anno. La donna doveva andare vestita di nero e, se le era morto il marito, portare il fazzoletto nero in testa.
L'uomo doveva portare gli abiti scuri per il primo periodo; poi poteva mettere la fascia nera vicino al braccio sinistro e la cravatta dello stesso colore. Invece era ammesso il mezzo lutto per la morte del nonno o dello zio e durava sei mesi; per il cugino durava solo tre mesi.
Durante il lutto completo che durava una settimana, tutti dovevano restare in casa con le imposte chiuse ed evitare di gridare o di parlare ad alta voce.
L'immagine della persona affranta dal dolore era ricollegata alla raffigurazione dell'Addolorata, una icòna della Madonna tutta vestita in nero, al cui altare andavano a pregare le vedove e mamme orfane di un figlio. Questo cordoglio era espresso nei pianti (= una specie di "Laudi") della Madonna che rappresentavano l'espressione più alta del dolore umano, ed è ricollegato alla rievocazione della Passione del Cristo. Ma in una dimensione umana e terrena, dove la Madonna rappresenta l'immagine della madre addolorata che piange la scomparsa del figlio, simile ad un'antica lamentatrice pagana.
Non esiste infatti nei "pianti" la speranza della Resurrezione, ma solo la visione della Morte vista con occhio "medievale" e racchiudono una gestualità simile all'antico "lamento" pagano (12).

1) Ascoltato dalla viva voce di giovanna Palladino nel '74 ad Acciaroli : trad.:"Alla lampada (= vita)/ chi muore e chi vive. / Alla Morte, alla Morte guai a chi acchiappo".
2) Ascoltato ad Acquavella dalla voce di Antonio Santoro: " Quando la Morte andava girando / con una falce mietendo : / incontrò un giovane valoroso: / giovane mio tu devi morire". / Il giovane infelice e sconsolato; / cara morte lasciami vivere. / Ho due fratelli, / Prendine uno e lasciami stare / Ho due bei figli, / prendine uno e non me. / La Morte rispose: / " non voglio né i tuoi figli, né i tuoi fratelli, / voglio te che trovo segnato sul mio libro. / Il giovane disse: / farò costruire un'alta torre, / e mi farò difendere dalle guardie. / La Morte gli rispose: / io entro per la fessura sotto la porta, / ti colpisco in testa e ti uccido." / E così fu: dopo tre giorni / il giovane cadde ammalato / arrivò la Morte e si sedette al suo fianco."
3) Ascoltato a Laurito dalla voce di Rosa Villano : " In capo al letto mio c'è Signore dio. / Al lato c'è l'Annunziata. /Ai piedi c'è l'Angelo Gabriele. / Alla porta c'è l'Angelo Custode. / Sulla via c'è la Vergine Maria. / Aiutate la mia anima, fino alla morte."
4) "Se non ci vediamo sulla terra, / ci vediamo in Paradiso".
5) Ascoltato a Laurito dalla voce della Sig.ra Rosa Villano; trad.: "Carnevale, perché sei morto, / l'insalata era nell'orto. / Carnevale, devi morire, e l'anno che viene tu torni a venire".
6) Guai a maltrattare 'u purcieddo re Sant'Antonio, una farfalla che entra nelle case: significava fare del male ad un caro scomparso.
7) Ascoltato a Fornelli dalla voce della Sig.ra Celestina Funicello: " tutte le Pasque andassero e venissero / ma Pasqua di Epifania non venisse mai!" (Ricordiamo anche che Pasca re l'Ova era la Pasqua di Resurrezione; e Pasca ri Jùri era la festa degli alberi il 1 Maggio).
8) Vedi il testo del "Verbum Caro".
9) Ascoltato a Fornelli dalla voce della Sig.ra Celestina Funicello: trad.: Ahi! Padre mio, perché sei morto? / tu eri la colonna della casa. / O Peppeniello ( = dim di Giuseppe), tu colonna della casa! / Ahi! Morte crudele, / la casa nostra tu hai rovinato!.
10) Trad.:… Potesse morire a quell'età, così giovane … aveva un aspetto così giovanile … che brav'uomo… il Signore si prende i migliori e lascia l'erba cattiva… si deve seguire la volontà di Dio… su questa terra siamo di passaggio.
11) Ascoltato a Fornelli dalla voce della Sign.ra celestina Funicello; trad.: "Piano, piano per le scale, / non fate cadere mio padre, / O padre mio, ti volevo tenere come consigliere".
12) Vedi il testo e lo schema musicale di un "pianto" del venerdì Santo.


2) UN EPITAFFIO

Al tema amore - Morte, cioè alla morte causata da un amore non corrisposto ci riporta questo epitaffio (13).
La nostalgia di un tempo meraviglioso trascorso nell'attesa del "si" della donna amata, fa parlare questa tomba. In un misto di pianto e di piètà per se stesso e per tutti gli "afflitti da Amore", l'uomo sembra acquistare la sapienza dopo la morte!

Tu ca passi ra cca, ferma nu poco:
mò ca so morto nun avè paura!
Sento la fiamma re l'ardente fòco,
so morto e tramontato re sicuro!
Pè te io me ritrovo 'n chesto lòco;
pè te io me ritrovo 'n sepoltura!
Chesto nce lasso ritto 'n chesto lòco:
"Chi ama ronna, ha morte sicura!".

13) Ascoltato dalla voce del Sig. Giuseppe Amendola ad Acciaroli; trad.: " Tu che passi da qui fermati un po', / ora che sono morto non aver paura! / Sento la fiamma del fuoco ardente, / sono morto e tramontato di sicuro! Per te mi trovo qui, / Per te mi ritrovo sepolto! / Questo lascio scritto sulla tomba : / "Chi ama donna, ha morte sicura!".

3) IL LAMENTO DELLE ANIME DEL PURGATORIO.

Nella pietà popolare non si poteva concepire una dannazione eterna, ma la coscienza dei propri peccati rendeva molto viva l'immagine del Purgatorio dove le anime giacciono dimenticate anche da parte dei familiari.
In questo bellissimo pianto (14) la pietà popolare ha creato un immagine pietosa, ma realistica delle anime del Purgatorio. Il "pianto" si apre con il "coro" delle anime, prosegue presentando come su una scena alcuni personaggi, quelli più vicini alla realtà quotidiana; per chiudersi poi con un altro coro delle anime che invitano i vivi a non bestemmiare i morti, ch'è un peccato scritto nel "libro di Dio".

(Coro delle anime)
Ricurrìmo a Giesù binigno e pio,
patrone ri lu munno e l'universo.
Pi nuie s'incarnào lu nostru Dio
Pi quanno lu Patatèrno fu cuncièsso:
n'avìssi offeso a Dio 'n vita e 'n morte!
Lu bene ca vuie facete a mamme e patri
vi lu rènne dio, lu Terno Patri.
Na vuci ra cca sento chiamàri:
mi pari na matri, ri chella finita, ricènno:

Na matri:

Rammi aiuto, o figlia mia!
Pi novi misi ti vinìa a purtàri
ra chill'ora ca fusti giniràta.
Ti vinìa a purtari cu tanta pena
ti rietti lu sango ri li proprie vène
Si mi ricordati quanta notti i' me scitàvo
Quanno sentìa la figlia ca chiangìa;
facìa li carèzze con amore,
ti rìa lu sango ri lu proprio còre.
Quanno na messa nù mi può mannari,
nu Verbumcàro a l'ànema famme rèce (15).
Fàmmelo rèce, figlia, nù te scurdàri,
e lu precètto re Dio fa sempe bene;
ca lu bene ca faceti a mamme e patri,
ve lu rènne Dio, lu Terno Patri.

Nu patri:

A munno mio ho sempre fa tìato
pe macquistà la rròba 'n casa mia.
Tutt'a na vòta tutto aggio lassàto,
cu sango e cu suròre, o figlia mia.
Ma io nù me lu crirìa re murari,
mò sta pena mia tu sta ssentìri.
Ti li voglio fa sènte a poco a poco
li pene ca se pate into stu fòco.
S'avissi offeso Dio 'n vita e 'n morte,
ròce lu sango pi li miei piccati.
O cara moglie mia, o tanto amata,
coraggio a colonna ri la testa mia;
chiro juorno ca jèmmo a spusàri
cu la mano retta ni rèmmo la fère.
Ni rèmmo la fère e fummo spusàti,
cu li parole ni giurammo 'terna fère.
E mò ca a cheste pène me so truvàto,
m'aviti moglie e figlia abbandonato.

Na sòre:

Ero viva e mòa so morta,
ri li rrobbe meie ti ni uòri lu frutto.
Me trovo mbriatòrio, che cumbuòrto,
mi arde e brucia e mi cunzùmo tutta.
Si Dio nù me raje còcche combuòrto
r'amici e pariènti abbandonata ra tutti.
Chiango, misera me, ca so dolente:
nù tengo n'amici, ni sòre, ni patri, ni pariènti!

Nu cumbàri e na cummàri (16):

L'affètto ri li sangiuànni vi l'avite scurdàto;
tanno cheste pène li crirìte,
quanno cummàri e cumbàri l'assaggiate.

Nu mercanti:

Rivòta gente jèro a la fèra pi loro camino,
into a nu vosco si ritruvàro;
assèro nu latruncièllo e nu malandrino;
e l'aneme ri lu Priatòrio assèro nnanti
a liberar la vita e le lor caprìne.
Chèsto rico a buie, rivòta gente,
facete bene a l'anime purganti.

(Coro delle anime):

Che nce acculpàmo nuie, poveri muorti,
c'hama esse ra li vivi jastimàti?
Chesto ricìmo a buie, rivòta gente,
li poveri muorti nù li ghiastemàte!
Ca chi jastìma l'anema ri li muorti,
Dio lu scrive pi nu gran piccato:
ca cù gran dulùri nù sanào lu pianto!
Chi lu rice e chi lu sente,
sempe rifrìschi tutte l'aneme ri lu Priatòrio!

14) Ascoltato a Laureto dalla voce delle Sig.re Carmela Ruggiero e Anna La Porta; trad.: "Ricorriamo a Gesù benigno) e pio / padrone del mondo e dell'universo / Per noi s'incarnò il nostro Dio / quando il Padre Eterno lo stabilì / non avessi offeso Dio né in vita né in morte / Il bene che fate alle madri e ai padri / ve lo rende Dio, l'Eterno Padre / Una voce qui vicino sento invocare / mi sembra quella madre che è arrivata da poco, e che dice : / Una madre :/ Dammi aiuto o figlia mia / Per nove mesi ti portavo (in seno) da quell''ora che fosti generata / Ti portavo con tante sofferenze / ti diedi il sangue delle mie vene / Se ti ricordi quante notti io mi svegliavo / quando sentivo la figlia che piangeva / le facevo carezze con amore / ti davo il sangue dal mio cuore (= ti allattavo) / Quando una messa non mi poi mandare (= far celebrare) / fa recitare per me almeno un "Verbum Caro" per la mia anima fammi recitare / Fammelo recitare, figlia, non ti dimenticare / che è conforme al precetto di Dio (= Dio così vuole) / Perché il bene che fate alle madri e ai padri 7 ve lo rende Dio, l'Eterno Padre/ Un padre : / Durante la mia vita ho sempre lavorato duramente / per procurare il necessario per la mia casa / All'improvviso ho lasciato tutto / con sangue e con sudore, o figlia mia / Ma io non credevo di morire / ora questa mia pena tu ascolta / Te la voglio far ascoltare a poco a poco / le pene che si soffrono in questo fuoco / Se avessi offeso Dio in vita e in (punto di) morte / è dolce soffrire per scontare i miei peccati / O cara moglie mia; o tanto amata / coraggio e sostegno della mia vita / quel giorno che andammo a sposarci / con la mano destra (=pura) ci scambiammo la fede / Ci scambiammo la fede e fummo sposati / con le parole ci giurammo eterna fedeltà / E ora che in queste pene mi son ritrovato / mi avete moglie e figlia abbandonato. Una sorella :/ Ero viva ed ora son morta / delle mie proprietà ti godi il frutto / mi trovo in Purgatorio, che conforto / mi ardo e brucio e mi consumo tutta / Se Dio non mi desse un po' di conforto / Sono abbandonata da tutti, amici e parenti / Piango misera me, che sto soffrendo / non ho né amici, né sorelle, né padre, né parenti. Un padrino ed una madrina: / L'affetto dei padrini ve lo siete dimenticato / Allora queste pene capirete (crederete) / quando voi madrina e padrino l'assaggerete. Un mercante : / delle pie persone andavano alla fiera seguendo il loro cammino / dovevano attraversare un bosco / sbucarono un ladruncolo ed un brigante / e subito le anime del Purgatorio si fecero avanti / a salvare la loro vita e le caprette / Questo dico a voi, devota gente / fate del bene alle anime purganti. (Coro delle anime): Che colpa abbiamo noi, poveri morti / che dobbiamo essere bestemmiati dai vivi ? / Questo diciamo a voi, gente devota, / non bestemmiare i poveri morti / Perché chi bestemmia le anime dei morti / Dio lo ricorda come un gran peccato (lett. Dio lo scrive nel libro dei peccati) / perché Lui con la sua passione non eliminò il pianto! / Chi lo recita e chi lo sente / porti sempre sollievo a tutte le anime del Purgatorio.
15) Era questa la preghiera per i defunti.
16) Tra padrino e madrina si istaurava con la famiglia un legame affettivo secondo solo a quello dei familiari più stretti; una sorte di nuovi parenti che si acquisivano col battesimo di un figlio.

Ci liberi ra mozzichi ri serpenti,
ra lingui ri mali genti,
ra lingui ri signùri
e ri uomini traritùri.
Ringraziamo a Dio
Stanotte èramo muorti
e mò sumu vivi.
Ti luràmo e ti ringraziamo
ca n'ha fatto fa na bona nuttàta,
e fanni fa na bòna jurnàta.

Segno della croce a sera (4):

'Nome sia ru Patri,
la Marònna addulurata,
rùrici Apuostuli,
quatto Vangelisti:
me curco e m'abbrazzo
a Marònna e Gièsu Cristo.

Le preghiere della sera sono sempre adombrate dalla paura della notte e della Morte. Si cerca perciò qualcosa a cui aggrapparsi, lu Patrinostro (= la corona del rosario) che salvi l'anima per meritarsi la vita eterna col pentimento dei peccati confessati a dio direttamente (5):

Cu lu Patrinostro chi criào Dio
mò m ne vào a lu lietto mio.
Lu lietto mio è mbalzamàto,
Gièsu Cristo m'ha scuntàto.
M'ha scuntàto senza paùra,
stanne l'ora li miei piccati.
Io nù me so cunbessàto nò cu privati nò cu muonaci:
me cumbesso cu buie Signore Dio.
Vuie saputi la menti mia,
Vuie saputi la mia cuscienzia.
Ratemmèlla Vuie la penitenzia.
Si stanotte avesse murare,
Gièsu Cristo mio a li mani Vostre
raccumanno l'anema mia!

Preghiera della confessione (6):

Auzo l'uocchi a ti mio Dio,
ncoppa na cruci te vèo stari:
sò na misera criatùra
e me voglio cumbessàri.
Me cumbesso cu te mio Dio,
Vuie sapiti la mia cuscienzia,
rammi strazi e penitenza,
voglio murari abbrazzata cu tìa.
E ssu sango ca spargisti
pi mi ncoppa ssa cruci
e ogni firìta atroci
putesse a nuie salvàri.
Vène nu juorno chest'anema mia
a murari, n'assisti Maria!

Preghiera dopo la confessione (7):

Mò me ne vengo bìata, bìata
a pieri ri la Virgini Maria.
Si malamente me sò cumbessato
io me cumbesso a buie, Rigina mia;
e me cumbesso tutti li piccati,
li ritti e li scurdàti;
tutti quanti li piccati
mi li tengo cumbessati.

Preghiera alla comunione (8):

Stào, stào e tri passi mò rào:
uno p'amore, n'ato pe timori,
n'ato pe ghiè a piglià Nostru Signori.
Che rumore ri chiavi ca sento;
tutto lu còre me sento allegrà:
sò li chiavi ri lu Sacramento,
ca st'anema mia è stata retta e pura
come Nostro Signore la criào.
Scinni Maria; cu dritto còre:
st'anema mia cumunicà se vòle.

4) Ascoltata a Laureto dalla voce della Sig.ra Maria Bianconelli Felicia; trad.: "Nel nome del Padre, della Madonna addolorata / dei dodici Apostoli / e dei quattro Evangelisti / mi corico e m'abbraccio / la Madonna e Gesù Cristo".
5) Ascoltata a laureto dalla voce della Sig.ra Giuseppina Ferrazzo; trad.: " Con la corona del Rosario che Dio creò / ora me ne vado al mio letto / Il mio letto è consacrato / Gesù Cristo mi ha incontrato / Mi ha incontrato senza paura / quella non era l'ora dei miei peccati / Io non mi sono confessato né a preti né a monaci / mi son confessato a Voi mio Dio / Voi conoscete la mia mente / e la mia coscienza / Datemi Voi la penitenza / Se stanotte dovessi morire / Gesù Cristo mio alle vostre mani raccomando la mia anima".
6) Ascoltato a laureto dalla voce della Sig.ra Giuseppina Ferrazzo; trad.: Alzo gli occhi a te mio Dio / sopra una croce ti vedo stare / sono una misera creatura / e mi voglio confessare / Mi confesso con te mio Dio / Voi conoscete la mia coscienza / dammi strazi e penitenze / voglio morire abbracciata con te / E questo sangue che spargesti / per me su questa croce / ogni ferita atroce / ci potesse salvare / Verrà un giorno che quest'anima mia / morirà, assistici Maria".
7) Ascoltata dalla voce della Sig.ra Antonietta Tancredi ad Acquavella; trad.: "Or me ne vengo contenta / ai piedi della Vergine Maria / Se mi son confessata male / io mi confesso a Voi mia Regina / e mi confesso tutti i peccati / quelli detti e quelli dimenticati / tutti i miei peccati li ritengo confessati.
8) Ascoltata ad Acquarella dalla voce della Sig.ra Antonietta Tancredi; trad.: "Prima sono in dubbio, poi do tre passi / uno per amore, un altro per timore / un altro per andare a prendere Nostro Signore / Che rumore di chiavi che sento (della custodia ) del Sacramento / che quest'anima mia vuole prendere / L'anima mia è stata retta e pura / come nostro Signore la creò / scendi Maria; con retto cuore / quest'anima mia si vuole comunicare".


2) SCONGIURI.

La lunga serie di "scongiuri"sono retaggio della superstizione, ma anche dell'ultima traccia del mondo pagano-medioevale. Le forze della Natura sono viste come maligne o benigne, a seconda se arrecano malanni o portano bene. Queste ultime, che di solito si identificano coi Santi protettori, sono invocate; le altre invece vengono allontanate per mezzo di oggetti comuni (forbici, falce, olio, ecc.) sui quali si scarica la loro forza maligna. L'oggetto, di solito un arnese legato alla coltivazione, viene scagliato lontano o bruciato o sotterrato; tre momenti questi che racchiudono le simbologie classiche della Natura: la forza vitale che viene dalla terra e che può arrecare danno, ad essa deve tornare mediante l'allontanamento dallo spazio abitato (la casa) o la distruzione (fuoco, sotterramento).
Ecco lo scongiuro contro il malocchio (9) che serve ad individuare la presenza di una "fattura". La pratica è diffusissima ancora oggi: si appresta un piatto con dell'acqua e in esso si fanno cadere alcune gocce di olio prese col dito da una candela accesa. Mentre il maluocchiàto (= colui che ha subito la fattura) tiene una mano sul piatto, si pronunziano queste parole, scaraventando lontano le furfucèdde ( = forbici). Se le gocce d'olio si allargano, vuol dire che il malocchio c'è; allora si procede ad altre formule più segrete, (anche per noi) perché si crede che rivelandole vada perduto tutto il loro potere:

Uocchio, maluocchio,
furfucèdda all'uocchio:
schiatta la mmiria
e crepa lu maluocchio.
Uocchio, maluocchio,
chi tène mmiria pozza schiattaràre.
L'accètta ogni male annètta;
'a ronca ogni male stronca.
Santu Rumìnico àuto e forte
tre cose peggio cummannàva:
lu freddo, la frève
e la roglia re capo.
Re capo 'i pigliava
e nterra 'i ghittàva.
(si ripetono i primi sei versi e poi si conclude):
Dio ci liberi da ogni povero cristiano!

Ecco una variazione della precedente con la quale si invoca la fonte della Vita ed il momento della nascita di Cristo per togliere il malocchio dal figlio (10):

A Bettellèmme è nato nu figlio,
senza rulùri l'ha fatto la mamma:
bella la mamma, bello lu figlio,
lèvami l'Uocchio ra coppa a stu figlio!

Gli scongiuri contro i malanni fisici giungevano ad essere specifici per ogni male; ecco quello contro un comune mal di pancia nel quale vengono invocate tutte le forze naturali e i legami più sacri, come quello del matrimonio (11):

Giesù passào, repòsa cerco;
buono marito, strèma muglièra;
acqua bagnata, Sacramento nturriàto
fa passà la panza a…
ca Giesù l'ha ccumpagnàta!

Ed ecco ora lo scongiuro contro la mmiria (= invidia) considerata la causa prima di ogni malanno (12):

Fui, mmiria, uocchio sicco,
và vattìnne mbieri n'arbero sicco;
porto na sguarrèra e t'assìcco;
porto fàuci, accette e ronchi
pi taglià novi mali ntrùnchi.
Santo Francisco, monaco re Cristo,
salvati l'uocchio a chisto
cume salvasti li cinco piàe ri Gèsu Cristo.
Gièsu Cristo vivo, Gièsu Cristo morto,
Gièsu cristo resuscitato.

Le tempeste erano la disgrazia più grave per un contadino: la Tradizione Orale tramanda molti racconti nei quali l'intero raccolto andava perduto (13). Allora la paura di una punizione che veniva dal Cielo, era lenìta con invocazioni ai Santi e alle Forze Naturali. Nello scongiuro contro la rattrumènta (= grande tempesta) viene invocato San giovannnnni, l'autore dell'Apocalisse, e il sangue di San Gennaro (14):

San Giovanni mio nù dòrme,
nitri nuvole so asciute:
una r'acqua, n'auta re viento,
n'auta porta na rattrumènta.
Acqua, Viento e Rattrumènta
và vattìnne into a nu vosco scuro,
addùvi nù canta 'allo
e nù praticano fatiatùri.
Innàro mio ri Napuli,
sì ri Napuli uardiàno,
cu lu sangu ri la tua testa
Dio nci liberi ra ogni timpèsta!.

Infine ecco un brano che rappresenta un momento caratteristico della cultura contadina. Durante i temporali il "pater familias " recitava questo scongiuro per allontanare la caduta dei fulmini; la Madonna e santa Barbara, padrona dei fulmini, diventano qui divinità personificate e umanizzate. La caratteristica forma di religiosità della prima parte, cede il posto, negli ultimi versi, allo scongiuro vero e proprio affinché le Forze della Natura scarichino la loro violenza in zone disabitate (15):

Santa Barbara jia pe mare,
nun se mbunnìa, nun se bagnava.
Le scuntào Santa Maria:
"ddu vaje, Barbara mia?".
"Vào accugliènno li tròna e li lampa,
ca Dio nce libara a tutti quanti!
Ca nun sia mai, avessero carère,
a ddu nù loce luna,
a ddu nù nce so piccole criatùre!".
Tròna e lampa fatti arràssa,
ciento miglia e ciento passi!.

9) Ascoltato a Cannicchio dalla voce della Sig.ra Olimpia Rascio; trad.: "Occhio e malocchio / forbici all'occhio / crepi l'invidia / crepi il malocchio / Occhio malocchio / chi ha invidia possa crepare / La scure ogni male taglia / la roncola ogni male recide / San Domenico alto e forte / tre cose peggiori dominava / il freddo, la febbre / e i forti mal di capo / Li afferrava dalla testa / e li restituiva alla terra".
10) Ascoltato a laureto dalla voce della Sig.ra Rosa Villano; trad.: " A Betthelemme è nato un bambino / senza dolori l'ha partorito la madre / bella è la mamma, bello è il figlio / togli il malocchio da questo mio figlio".
11) Ascoltato a laureto dalla voce della Sig.ra Maria Bianconelli Felicia; trad.: "Gesù passò, riposo cercò / un buon marito, una cattiva moglie / acqua bagnata, Sacramento esposto / fà passare il mal di pancia… / che Gesù l'ha accompagnata".
12) Ascoltato a Roccagloriosa dalla voce della Sig.ra Carmela Coraggio; trad.: "Và via invidia, occhio malefico / vattene ai piedi di un albero secco / porto una grossa falce e ti uccido / porto falci, scuri e roncole / per recidere nove mali decisamente / San Francesco, monaco di Cristo / salvate la buona salute a costui / come riceveste le cinque piaghe di Cristo / Gesù Cristo vivo, morto e resuscitato".
13)Vedi Viaggio nel Cilento, op. cit., alla voce "Orria".
14) Ascoltato a Roccagloriosa dalla voce della Sig.ra Carmela Coraggio; trad.: " San Giovanni mio non dormire /
nere nuvole sono uscite / una che porta la pioggia, un'altra vento / e un'altra una tempesta / Acqua, Vento e Tempesta / vattene in un bosco buio / dove non canta il gallo / e non vi praticano lavoratori / Gennaro mio di Napoli / sei di Napoli il guardiano / con il sangue della tua testa / Dio ci liberi da ogni tempesta".
15) Ascoltata ad Acciaroli dalla voce della Sig.ra Amina Fedulla; trad.: " Santa Barbara andava per mare / non si bagnava, non si bagnava / La incontrò Santa Maria : / " Dove vai Barbara mia?" / Vado raccogliendo tuona e fulmini / che Dio ci liberi tutti quanti! / Che se dovessero cadere, non sia mai / (cadano) dove non canta il gallo / dove non risplende la luna / dove non vi abitano bambini / Tuoni e fulmini allontanatevi / cento miglia e cento passi".


3) SACRE RIEVOCAZIONI.

Le sacre rievocazioni sono delle preghiere con le quali si "ricordano" i principali misteri della religione cristiana.
I suonni (= sogni), come presso tutti i popoli, hanno sempre avuto un senso di sacro e, soprattutto quando hanno come oggetto i Santi, acquistano quel senso di mistico e di misterioso. Questo "suonno di Santa Rosa" (16) è la rievocazione onirica della Passione di cristo come sogno di qualche male che ha da venire su di una fanciulla che sarà protetta da Santa Rosa:

. Santa Rosa ra Roma venìa,
fuorfici r'oro pe pano purtàva;
panni fini tagliava e cusìa,
la figlia re Santa Rosa pi nnanti le jia.
"Levati, lèvati, figlia mia,
m'aggio sunnàto malo suonno stanotte
M'aggio sunnàto ca li Giurèi t'erano pigliata,
mbonta Calvario t'erano purtàta;
la cròna r'oro t'era levàta,
chèra re spine t'erano posta ncapo.
Lu stesso sango ca n'assìa,
into lu calici se mittìa;
chèra mèssa ca se recìa,
li Giurèi se la sentano".
Chi la sente e nù la mpara,
setti trava re fuoco ha da passeri!

Rievocazione del Venerdì Santo (17):

Lu Viernirì re Marzo gluriùso,
ca Gièsu Cristo a la cruci fu miso,
cu nu custàto vascio e n'auto offeso:
chisto è lu Viernirì ri li rulùri
ca fu pigliato Dio onnipotente
e fu pigliato cu quarantasei persùni
e tutti li stiano attorno cu li cursùri.
E Dio risse cu la voce sòa:
"Chiamatìmi Giuanni cca presente,
lu voglio mannà p'ambasciatore
a ddu la Matri mia, segretamente,
pe mannà nguiènti pi li miei rulùri,
pe me untà li miei piàe ardenti".
E la Matri risse cu la vocca soa:
" O cruci àuta e amara, avàsciati nu poco;
ca lu Figlio mio brucia, e nun è poco!"
Chi lu rice e lu tène pe ditto,
a lu pietto re Maria lu trova scritto;
chi lu rici ntesta a l'àuti,
perde la carta ri li suoi piccati.

La rievocazione della fine del mondo veniva fatta con questo "Carme" che costituiva la preghiera per le anime dei defunti.
Un'antica leggenda cilentana narra che la notte di San Giovanni, tra il 13 e il 24 giugno, una trave di fuoco attraversi il cielo, come segno premonitore della fine del mondo descritta dall'apostolo nell'Apocalisse.
La sera i bambini, prima di andare a letto, mettevano un bianco d'uovo e dell'acqua in un bicchiere fuori dalla finestra: al mattino correvano a controllarlo e lo portavano alla persona più anziana della famiglia perché "leggesse" il disegno che l'albume aveva formato: una barca era segno di una partenza; un coltello era segno di morte; una bottiglia, di felicità; una casa, di lunga vita; un uovo annunciava una prossima maternità in famiglia.
Questi versi riprendono il brano del Vangelo di San Giovanni che comincia così: "Verbum, caro factum est…" dove è concentrato il mistero del Verbo (= la Parola) di Dio fattosi carne nella persona di Gesù.
La profonda teologia contenuta in essi, diventa oggetto di questo carme dove tra un misto di formule magiche, scongiuri e invocazioni, si invoca il perdono dei peccati e si rievoca la fine del mondo ed il Giudizio Universale. Emerge fra l'altro l'antica concezione della croce quale "axis mundi" cioè anello di congiunzione tra il cielo e laterra "stinnìa nu vrazzo ncielo e n'auto nterra…".
Questo carme è conosciuto comunemente in tutti i borghi del Cilento col titolo di " U Verbumcàro" (18); la sua assidua recitazione viene ritenuta condizione essenziale per la salvezza eterna:

Verbu saccio e Verbu voglio rici,
Verbu ri Dio e ri Nostru Signori
chi ra cielo interra scinnìsti,
into lu ventri di Maria ripusàsti;
stisti nove misi e po' nascisti,
virginella cum'era la lassàati.
Trentatré anni pi lu munnnno isti,
sempe la Santa Fère prerecàsti:
pirdònami, Gièsu Cristo, ca io so tristo,
cume lu Gran Latrone pirdunàsti.
Gièsu Cristo la croce purtava,
come a nu misero pizzente piccatore.
Chera croce era fina, àuta e bella:
stinnìa nu vrazzo ncielo e n'àuto nterra.
Trentatré anni ch'era stata fatta,
into a la valle re la Giosafatta;
trentatré anni ch'era stata scritta,
into a la valle ri la Chiesa ricca.
Li trumbètte sonarànno,
tutte l'anime tremarànno,
cume a foglie ri camilla
cume trema la fronna ri lustra
accussì trema lu nostro fustu;
cume trema la fronna ri l'albero,
accussì trema la nostra anima.
San Giuanni s'affacciào,
cu nu libro r'oro mmàno:
" O Maestro, o Maestro, pirdona li piccatùri!"
"O Giuanni, o Giuanni,
cume li bboglio pirdunàri?
So picculi e so grandi,
chi giura e chi m'ingiùra;
chi jastìma 'ù noma mio nòve vòte a l'ora!".
Si trova affacciànno la Matri ri Dio:
" O piccatùri, o piccatrìci,
chi sape lu Verbo re Dio ca si lu rici
e chi no, ca si lu fa mbaràri,
nci mètte n'anno o na quarantàna!.
Chi se lu rice tre bòte a matìna,
si ni vaje a la grazia re Dio.
Chi se lu rice tre bòte a lu juorno,
nù pòte murare senza privati attorno.
Chi se lu rice tre bòte a la sera,
nù po' murari mai senza lume re cannula.
Chi se lu rice tre bòte a la notte,
nù pòte murari mai re mala morte.
Chi se lu rice tre bòte 'n chiesia sacràta,
l'anema ra li pène ri lu mbièrno è liberàta!".

16) Ascoltato a Laureto dalla voce della Sig.ra Rosa Ferrazzo; trad.: " Santa Rosa da Roma veniva / forbici d'oro portava in mano / stoffe fini tagliava e cuciva / la figlia di Santa Rosa davanti le camminava / Togliti, togliti, figlia mia / un cattivo sogno ho fatto stanotte / Ho sognato che i Giudei ti avevano presa / ti avevano portato sulla cima del Calvario / ti avevano tolto la corona d'oro / e ti avevano posto sul capo quella di spine / Lo stesso sangue che ne usciva / scorreva nel calice / quella messa che si celebrava / i Giudei se la sentivano / Chi sente (questa rievocazione ) e non la impara / sette tormenti come travi di fuoco dovrà sopportare".
17) Ascoltata a Roccagloriosa dalla voce della Sig.ra Carmela Coraggio; trad.: " il Venerdì glorioso di marzo / quando Gesù Cristo fu messo in croce, / con un costato basso ed un altro squarciato / questo è il Venerdì dei dolori / quando fu catturato Dio onnipotente / e fu preso con quarantasei persone / e tutte Gli stavano intorno con gli aguzzini / E Dio disse con la sua bocca: / "Chiamatemi Giovanni che venga qua / lo voglio mandare per ambasciatore / dalla Madre mia, segretamente / perché mandi unguenti per i miei dolori / per cospargere le mie piaghe ardenti" / E la Madre disse con la sua bocca: / " O Croce alta e amara, abbassati un poco / che il mio Figlio soffre e non poco" / Chi lo recita e lo ritiene recitato / sul cuore di Maria lo trova scritto / chi lo dice per gli altri / perde la carta dei suoi peccati!".
18) Ascoltato ad Acciaroli nel 1974 dalla viva voce della Sig.ra Giovanna Paladino; a Cannicchio dalla viva voce della Sig.ra Vincenza Rascio; ad Acquavella dalla voce del Sig. Paolo Volpe; a Laureto dalla voce della Sig.ra Rosa Ferrazzo ; ecc.; trad.: Conosco il Verbo, e voglio recitarlo / Verbo di Dio e di Nostro Signore / che dal cielo in terra scendesti / nel ventre di Maria riposasti / stesti nove mesi e poi nascesti / vergine com'era la lasciasti / Trentatré anni per il mondo andasti / sempre la Santa Fede predicasti / perdonami Gesù, che io sono cattivo / come perdonasti il Gran Ladrone. / Gesù Cristo la croce portava / come un misero pezzente peccatore / quella croce era preziosa, alta e bella / porgeva un braccio in cielo ed un altro in terra / Era stata costruita da trentatré anni / nella valle di Josafat / da trentatré anni era stata predisposta / nella Valle della Chiesa ricca / Suoneranno le trombe / tutte le anime tremeranno / come foglie di camomilla / come tremano le foglie di una pianta acquatica / così trema il nostro corpo / come trema la foglia di un albero, / così trema la nostra anima. / San Giovanni s'affacciò con un libro d'oro in mano / " O Maestro, perdona i peccatori" / "O Giovanni come li posso perdonare? / Son piccoli o adulti / chi giura su di me e chi m'ingiuria / chi bestemmia il nome mio nove volte l'ora" / Nel mentre, si affaccia la Madre di Dio: / "O peccatori o peccatrici / chi chi conosce il Verbo di Dio lo reciti / e chi non lo conosce se lo faccia insegnare / anche se impiega un anno o quarant'anni / Chi lo recita tre volte al mattino / vive nella grazia di Dio / Chi lo recita tre volte al giorno / non può morire senza preti attorno / Chi lo recita tre volte la sera / non può morire senza la luce di una lampada (= solo) / Chi lo recita tre volte la notte / non potrà morire di morte violenta / chi lo recita tre volte in una chiesa consacrata / la sua anima sarà liberata dalle pene dell'inferno".


4) LE "CONTE" DEI SANTI.

Queste filastrocche venivano cantate dai nonni ai nipotini per divertirli; oppure nei girotondo dai bambini mentre danzavano salterellando attorno ad uno di loro che rappresentava un Santo (19). Esse possono essere definite dei veri canti rituali che sintetizzano in un susseguirsi di immagini legate al mondo contadino, alcune verità cristiane. Si tratta però di un Cristianesimo molto attento alle formule magiche che danno alla religiosità un aspetto primitivo. Anche le parole, le frasi messe lì per assonanza, indicavano l'impossibilità di esprimere incomprensibili verità teologiche.
Anche in queste "cònte" i bambini si improvvisavano attori perché mimavano, con una gestualità probabilmente mai modificata nel corso dei secoli, i vari personaggi e le varie situazioni.
In questa "cònta" (20), all'enunciazione di vari momenti della vita del Cristo, segue negli ultimi due versi una saggia e pratica riflessione sulla dannazione eterna:

Passa Sant'Antonio cu cinto cavalieri;
cièntocinquanta, tutta 'a notte canta.
Canto re la viòla, lu mastro va alla scòla;
scòla sculìsta, rà la mano a Cristo.
Cristo ncurunàto, purtàva la spina ncapo.
Pènta palomma, che nce puorti into sta fronta?
Nce porto uòglio santo
pe battià lu Spirito Santo.
Lu Spirito Santo è battito,
tutto lu munno è illuminato.
Lluminato chi cos'è?
O Maria grazia plèna, prèa pi nuie!
Santo Pietro purtava li cruci,
trarimènto fici pi dinari, fici sette piccati murtali.
Chi lu canta e chi lu rice
se ne vaje mparavìso;
mparavìso li belle cose,
chi nce vaje se ne pènte.
Che serve lu pentì,
quanno sì into e nù puoi cchiù assì?

In questa invece c'è la rievocazione di tutti i momenti principali della vita e il richiamo a situazioni contingenti (21):

Santa Rosa ne lu giardino,
ca cuglìa lu petrus'no.
Gièsu Cristo la chiamo
e Santa Rosa se vutào.
Nci circo nu mazzo re jùri;
nci ni jenchètte nu maccatùro.
Maccatùro ngungulèlla,
paralònna l'Angiulella
Angiulèlla ru paravìso,
chi t'ha fatto stu bello vestito?
Me l'ha fatto la nòra mia,
vieni, vieni rimani matìna.
Rimani matìna è na bella festa
Nci so tre angioli ca t'aspettano.
T'aspettano sotto lu palio,
la Maronna ru Rosario;
t'aspettano sotto la grotta,
la Maronna ri Pierigrotta;
t'aspettano sotto lu vèle,
la Marònna re Monte Carmèlo.
Quanto è bella e quanto luce
loa Maronna ri la Cruci.
Nuie ca simo li zingarèlle
simo venùte ra longa via;
stu figliuolo ca porti mbrazzo
sempe grazie e fiùra,
cu la santa 'raziùna.
E jiàmoci, Maestra,
a la scòla ca si face;
è arrivato Santo Innàro,
che bella festa case face.
Rivòte ri ogni festa,
Dio nci liberi ra ogni timpesta!.

19) Vedi anche " I giochi".
20) Ascoltato a Santa Lucia di Sessa Cil. Dalla voce della Sig.ra Emilia Inverso; trad.. " Passa Sant'Antonio con cento cavalieri / centocinquanta, tutta la notte canta / Canto della viola, il maestro va alla scuola / scuola-scuola dà la mano a Cristo / cristo incoronato portava la spina in testa / tu sei la quinta colomba che porti sulla fronte? / Ci porto olio santo / per battezzare lo Spirito santo / Lo Spirito santo è battezzato tutto il mondo è illuminato / Illuminato che significa? / O Maria piena di grazie, prega per noi / San Pietro portava le croci / fece tradimento per denari, commise sette peccati mortali / chi lo canta e chi lo recita / se ne va in paradiso / in paradiso ci sono le belle cose / chi ci va, si riposa / All'inferno c'è la gente cattiva / chi ci va, se ne pente / Che serve il pentirsi / se quello sei entrato non puoi più uscire?".
21) Ascoltato a Laurito dalla voce della Sig.ra Rosa Terrazzo; trad.: "Santa Rosa nel giardino / che raccoglieva il prezzemolo / Gesù Cristo la chiamò / e Santa Rosa si girò / Le chiese un mazzo di fiori / giene riempì un fazzoletto (foulard) / Fazzoletto ngungulèlla / paralònna l Angelo Custode / Angelo del paradiso / chi ti ha fatto quel bel vestito? / Me l'ha fatto la mia nuora / vieni, vieni domani mattina / Domani mattina è una bella festa / ci sono tre angeli che t'aspettano / t'aspettano sotto il palio / la Madonna del Rosario / t'aspettano sotto la grotta / la Madonna di Piedigrotta / t'aspettano sotto il velo / la Madonna di Monte Carmelo / Quanto è bella e quanto splende / la Madonna della Croce / ( Vicino Stio, dove si tiene la fiera omonima il 1° settembre) Noi che siamo le zincarelle / veniamo da molto lontano / questo figlio che porti in braccio / sempre grazie io gli faccio / sempre grazie e bell'aspetto / con la santa orazione (= se prega) / E andiamo Maestra / alla scuola che si tiene / è arrivato San Gennaro / che bella festa che si fa / Devote di ogni festa / Dio ci liberi da ogni tempesta".

4) IL DESTINO

L'isolamento politico, culturale ed economico in cui è venuto a trovarsi il Cilento nei tempi antichi e meno antichi, ha finito col determinare il sorgere di convinzioni fatalistiche. Superstizione e fatalismo ancora oggi non del tutto scomparsi, finiscono con l'assumere i tratti di due divinità che si identificano nella Sciòrta (= forza cogente del Destino - Dio). Mentre la prima è il retaggio di antiche credenze pagane e riti connessi ( si ricordino le varie feste rurali italiche: Arvalia, Atellane, Fescennini), il Fatalismo è forse l'espressione dell'accettazione cristiana del valore divino.
La cattiva "Sciorta" può essere causa anche di uno sfortunato amore (22):

L'acqua m'asciùca e lu sole me monne,
tutte li cose a mi contra me vanno.
T'aggio ritto: " Tutte li stanze
meie so chère toie;
tutti li distìni miei so distinàti ".
Distinta siti, povera a buie!
Li chiavi del tuo petto li tengo io;
chère re l'affitto còre l'avìte vuie.
Voglio perseguità la pernesìa
Si sta mancanza nù bène ra vuie!

Ma anche l'amore felice è scritto nelle stelle (23):

Menài lu lazzo verde a ciel sereno
pi ngappà li stelle a una a una.
La prima vòta ca nce lu menài,
pe bòna sciòrta nce ncappai la luna;
po' nce ngappai na fata umana,
chèra ca vaie a pari ri lu sole;
po' nce ngappài lu còre ca 'i amava:
oh che cielo pe me, oh che Fortuna!

A volte la cattiva sorte si accanisce proprio contro chi ha più sofferto e tramite coloro che dovrebbero essere i dispensatori di conforto, i "patri santi" i frati francescani; traspare in questa strofetta l'antico anticlericalismo del Cimentano al quale non resta altro che desiderare di bestemmiare (24):

Muonaci cappuccini e patri santi
stano tutti contra re me malamente;
cume s'avesse accìso li patri santi
cume s'avesse rato fuoco a nu cummènto.
Mancu s'avesse rutto la campana santa,
mò li purtarìa tanti tormenti!
Ne scinnirìa li muonaci santi;
Santu Francisco cu tutto lu mantu!.

Ed infine due canti (25) dove troviamo il più cupo pessimismo misto ad una religiosa sopportazione; nel primo, sorto probabilmente in ambiente marinaro, la "Sciorta" si identifica con uno scoglio, ma che piange sul destino del povero marinaio:

Viri la Sciorta mia mezzo mari
ncoppa nu duro scoglio ca chingìa;
e tanto ri lu pianto e lacrimàri
ca pure i pesci lacrimar facìa.
Costretto fui ri l'addummannàri,
tanta dal sighiozzar nù rispunnìa:
"Fortuna, appecchè chianti a sta mandra?"
"I' sò la Sciorta tòa, par ca ricìa!".

Quest'altro invece può essere definito il canto del destino umano: in ciascuno c'è il desiderio di conoscere quale sia il proprio destino e ci si addentra nei dedali dell'esistenza ( l'allegoria del bosco!) per incontrare il mostro dalla doppia faccia, la Fortuna, buona o cattiva:

Tutta stanotte voglio jè candanno,
si nù me và contraria la luna.
Into a nu vosco me ne voglio jère,
voglio jè a truvà la Sciorta e la Furtuna.
E si me sconta le voglio addummannàri
se i' sò nato ri mala fortuna.
E jèssa me respose: " O figlio caro,
quanno nascisti tu scuro la luna!".

22) Ascoltata ad Acciaroli dalla voce dei Sig. Giuseppe Amendola; trad.: " L'acqua mi asciuga e il sole mi bagna / tutte le cose mi vanno contro / Ti ho detto: " tutti i tuoi desideri / sono i miei / tutti i destini miei sono prestabiliti" / Destinata siete anche voi, povera voi / Le chiavi del tuo petto le ho io / quelle dell'afflitto cuore le avete voi / Voglio essere in questo stato di pazzia / se la mancanza ( di amore) non viene da voi !".
23) Ascoltata a San Giovanni di Stella Cil. Dalla voce della Sig.ra Angelina Radano; trad.: " Lanciai il laccio verde (della speranza) in un cielo sereno / per prendere le stelle ad una ad una / La prima volta che lo lanciai / per buona sorte presi la luna / poi presi una fata umana / quella che è pari al sole (per bellezza) / poi presi il cuore che io amavo / oh che cielo (fu quello) per me, oh che fortuna".
24) Ascoltata a satolla dalla voce del Sig. Vincenzo Malandrino; trad.: " Monaci cappuccini e padri santi / sono decisamente contro di me / come se avessi ucciso i padri santi / come se avessi dato fuoco ad un convento / neanche se avessi rotto la campana santa / li patirei tanti tormenti / Bestemmierei i monaci santi / san Francesco con il suo mantello (saio: la veste di un santo è considerata sacra)".
25) Ascoltati ad Acciaroli dalla voce del Sig. Giuseppe Amendola; trad.: Vidi il mio destino in mezzo al mare / sopra un duro scoglio che piangeva / e piangeva tanto e lacrimava / che faceva piangere pure i pesci / Mi sentii costretto a domandargli / e tanto dal singhiozzare non rispondeva / "Fortuna, perché piangi così tanto? / " Io sono la tua cattiva sorte" sembrava dire…
- Trad.: Per tutta questa notte voglio andar cantando / se la luna non mi è contraria / Voglio andare in un bosco / e voglio andare a cercare il mio destino (= la cattiva e buona sorte) / E se l'incontro gli voglio domandare / se io sono nato con cattiva sorte / ed egli mi rispose: "O figlio caro, / quando nascesti tu, si oscurò la luna!".