Antichi saperi delle streghe.

Nel Centro Italia un miscuglio di saggezza, farmacopea e riti magici

di Cecilia Trocchi
(antropologa)

Il successo millenario della medicina popolare italiana è dovuto a vari motivi. Uno di questi è il diverso modo di intendere il corpo. Per i guaritori tradizionali, siano essi la "donna delle erbe", il conciaossa, o la mammana, il corpo appartiene a uomini e donne vivi, è un'unità, un microcosmo di relazioni con gli astri, gli elementi primordiali, le stagioni, le potenze sovrannaturali. La medicina ufficiale (dei cui successi immensi non dubito minimamente) ha dovuto sezionare il corpo, anatomizzarlo, e scrutarlo con strumenti sofisticati, freddi, ancorché potenti. Chi oggi propone al malato una risonanza magnetica arricchita di giaculatorie, toccamenti di mani calde ed esperte, incantesimi e invocazioni? I malati hanno una sapienza infedele: vanno dal medico ma chiamano anche il guaritore, bevono di nascosto la pozione d'erbe della vicina, si fanno portare dall'esorcista, sentono consigli un po' ovunque.

Ė pur vero che nel mondo antico si brancolava nel buio, ma si cercava di socializzare la malattia, di renderla pubblica, di coinvolgere l'intera comunità. Nell'Italia centrale la farmacopea è un serbatoio dell'antica sapienza di Ippocrate, Galeno, Paracelso, un fossile vivente di rimedi millenari e talvolta efficienti. In primo luogo si ricorre alla dieta: ogni alimento anche il più comune è adatto per una patologia che se anche non guarisce, certamente giova ad arginare il malessere.

Nella Marche per la diarrea si dava acqua di riso condita con succo di limone. Come tonico e rinfrescante si usava il radicchio selvatico; la sua acqua rinfresca e disintossica. Gli asparagi selvaggi si davano per l'inappetenza e la debolezza (Toscana). La piantaggine veniva raccolta e bollita per insaporire frittate e minestroni. Per tonificare e come ricostituente si usava far macerare le noci fresche nell'acquavite per due mesi. Le zuppe d'orzo e miglio si davano per il mal di stomaco.

In Toscana si ancora la ruta contro gli spasmi del colon, si fanno impacchi d'arnica contro contusioni e slogature, si prende la malva in infuso (foglie e fiori) con miele contro la tosse, o si fa un infuso di menta per digerire; i foruncoli si "maturano" con l'unguento fatto con grasso di porco maschio, latte e malva in decotto. In Umbria trionfa la parietaria, usata in decotto contro i disturbi delle vie urinarie, dello stomaco e per usi esterni in poltiglia per contusioni, strappi muscolari e dolori alle ossa. Nelle Marche per far sparire i calli si brucia un'unghia di maiale maschio, si pone la cenere in una scodellina con olio e pepe, si mette la mistura sul callo, si fascia e si lascia tutta la notte. Il callo sparisce.

Il Lazio ha una tradizione medica popolare consolidata e fiorente che solo le medicine esotiche alla moda (tibetane, indiane o cinesi che siano) rischiano di travolgere e far dimenticare. Vi sono più di cento ricette ricordate dalle nonne. A Sora (Fr) c'è ancora una vecchietta che pratica solo terapie empiriche, senza nessuna malia. Cura la tosse, il vomito recidivo, le diarree. Per i dolori reumatici fa ricoprire il paziente con foglie di sambuco, una foglia accanto all'altra, sia sopra che sotto, poi avvolge il tutto con una grande coperta di lana. Dopo tre ore si nota un giovamento. Per l'infiammazione di petto propone un impiastro di riso, malva e latte. Il sedano (non a caso chiamato "cazzimperio") è dato crudo in grandi quantità contro l'impotenza.

Accanto alle cure empiriche, il vasto mondo delle cure simboliche che chiamano in gioco le potenze supreme, Dio i Santi e la Madonna. A Cancelli, un paesino vicino Foligno, i santi Pietro e Paolo donarono al primogenito della famiglia che si chiama come il villaggio, Cancelli, il dono di curare la sciatica e il mal'ossa con segni di croce e preghiere liturgiche. Il dono si è tramandato tra i maschi della famiglia Cancelli fino ad ora. Speriamo che l'ultimo erede non rinunci al dono, cosa che ha minacciato più volte: il potere taumaturgico si dissolverebbe.

Altri guaritori conoscono una preghiera segreta "L'orazion di santa Chiara/ benedetto chi l'impara".

A Loreto nelle Marche si praticava un tatuaggio curativo e preventivo. La guarigione dall'artrite deformante era affidata ad un padre di sette figli il quale misurava il malato con un filo di refe che veniva poi bruciato recitando uno scongiuro. Se poi tutto questo non basta, bisogna andare a Santa Maria in Via, a Roma, vicino a piazza San Silvestro e bere un bicchiere di acqua della sorgente miracolosa che sgorga nella cripta.Anche gli animali venivano curati con rimedi empirici e simbolici insieme. Al bestiame si metteva un nastrino rosso e si faceva segnare da un guaritore. Nelle stalle si metteva la palma benedetta accanto al ginepro sospeso alle travi contro le streghe e i folletti. Pare che streghe e spiritelli rapissero le bestie nottetempo per farle cavalcare fino al noce del sabba. In effetti si trovavano a volte cavalli e buoi sudati ed affranti con mille treccioline sulla coda, i peli e la criniera... Il Belli riporta avvisi infallibili contro le streghe e come suol dirsi oggi contro "le negatività". Sono consigli preziosi per la salute, il benessere e la buona fortuna:

"Mettete ar collo la camiciola ch'ha portato un morto/ con quattro fronde de cicoria d'orto./ E si n'aborto poi avéde 'na lucertola d'un giorno/ tiello in saccoccia/ cotto prima ar forno./ Buscate un corno de bufalino macellato in ghetto/ c'abbia preso er crepuscolo sur tetto/ Con un cocceto de pila rotta in culo a 'na ruffiana/ raschialo tutto ar son d'una campana."

Ancora fino a qualche anno fa Maria Rosa Mei operava terapie miracolose ad Amaseno (Fr). La sua specialità era quella di neutralizzare le negatività, non solo scrutando le gocce d'olio nell'acqua ma soprattutto guardando il paziente nelle pupille e nell'iride: se in esse ci si specchia, il paziente è immune da malattie gravi, ma se risultano opache c'è sicuramente qualche negatività. Tale pratica sicuramente preromana e pregreca, viene ora riciclata dai diagnostici dell'iridologia, che ripetono l'antico sapere della strega ciociara.